Correvano i primi anni Novanta del secolo scorso quando Franco Teresi e Guido Corso, legati da antica amicizia e da profonda assonanza scientifica, discutendo del panorama editoriale del diritto pubblico, costituzionale e amministrativo, ritennero opportuno dar vita ad una nuova rivista giuridica volta a colmare un vuoto assolutamente rilevante nel dibattito costituzionale e non solo, rimasto sino ad allora privo di specifiche iniziative: l’autonomia. Ma poteva parlarsi di autonomia o, piuttosto, la poliedricità del termine imponeva l’uso del plurale, le autonomie, se è vero che già l’ampia gamma di autonomie richiamate in Costituzione induceva a deporre più correttamente in tal senso: l’autonomia individuale in forma singola e associata, l’autonomia istituzionale, l’autonomia regionale, l’autonomia locale, l’autonomia delle confessioni religiose, l’autonomia universitaria, l’autonomia sindacale, l’autonomia dell’iniziativa economica privata, l’autonomia dei partiti politici, l’autonomia delle magistrature.
D’altronde, la riflessione era sì sospinta da Teresi costituzionalista, ma lo studioso, con le sue molteplici sensibilità culturali e sociali, era lo stesso ex attivista della Fuci, lo studioso che si nutriva di dottrina sociale della Chiesa, della lettura di autori di dottrina cristiano-sociale quali Maritain, Gilson, Mounier per i quali le società intermedie e il principio di sussidiarietà, forme espressive tipiche delle autonomie, costituivano i fondamenti di un approccio ideale molto vivo in quegli anni. Guido Corso fu d’accordo. Di diversa formazione culturale, egli non mancò di ricordare all’amico che qualcosa di simile lo aveva promosso, prima di quegli studiosi, un altro francese, Tocqueville, che nella varietà del mondo dell’associazionismo coglieva persino le ragioni più profonde e peculiari della vitalità della società americana se poteva scrivere “Se un albero cade e ostruisce una strada, gli europei si rivolgono al municipio perché risolva il problema; negli Stati Uniti d’America, i vicini si sbracciano e, cooperando fra loro, rimuovono il tronco”.
Se questa cornice, ricca di afflati culturali di un pensiero non disposto a radicarsi ad un Paese, propenso, piuttosto, a riflettere la “diversità” nelle sue infinite e ricche componenti possibili, proprie del genere umano, induceva ad adoperare il termine “Autonomie”, tanto non bastava. Bisognava trovare un aggettivo che riprendesse il senso della originalità della impostazione ricercata. Da qui, solo lentamente, maturò il termine “Nuove”: un tributo al “nuovismo” che imperversava al tempo, un residuo dell’idea di progresso, quella stessa pur talvolta oggi messa in discussione, come ricorda Gennaro Sasso, sulla base dell’esperienza del terribile ventesimo secolo. Ma Teresi e Corso, per loro stessa ammissione, pur abili pensatori, non avevano dimestichezza per le cose pratiche: occorreva qualcuno che tramutasse un’idea in un progetto. Con l’umiltà propria di chi è consapevole dei propri limiti, i due decisero di affidarsi così all’iniziativa di Danilo Pupillo, sodale di entrambi, persona che univa in sé un carattere adorabile, un’ampia esperienza amministrativa e, soprattutto, una notevole capacità imprenditoriale. Ecco, esattamente così è nata “Nuove Autonomie” che da allora non ha mai cessato di offrire il proprio contributo originale agli studi di diritto pubblico, amministrativo e costituzionale. Due dei fondatori, come noto, Franco Teresi e Danilo Pupillo, non ci sono più. Anche alla loro grata e cara memoria si richiamano quanti oggi dedicano nuove cure ed energie, nuova veste editoriale alla “loro” creatura.
Sarebbe tuttavia davvero grave e ingiusto, oltre che errato, se non ricordassi in questa sede che quando Guido Corso, Franco Teresi e Danilo Pupillo fondarono la Rivista, essi non erano soli. Da giurista, ma ancor prima da donna, il ricordo mi rende particolarmente orgogliosa: a loro, infatti, si affiancava, discreta, generosa e instancabile, Maripina Terrasi, la cui vita e storia accademica per molti anni si sono strettamente intrecciate con quella della Rivista. Maripina Terrasi non solo partecipò attivamente da subito all’iniziativa quale componente del Comitato di Redazione, ma ben presto divenne il vero motore della nuova Rivista, la coordinatrice scientifica ed editoriale. La sua intensa attività, contrassegnata da quella particolare passione che animava sempre ogni sua azione, fu fondamentale per lo sviluppo e il consolidamento della iniziativa editoriale nel panorama giuridico nazionale; il suo gentile e fermo piglio di donna consentì il superamento di momenti difficili che probabilmente avrebbero indotto all’abbandono dell’impresa.
Il rapporto del cittadino con i poteri pubblici, il ruolo della persona e della società civile, la consapevolezza che il diritto non potesse “navigare” in forma isolata, dovendo piuttosto confrontarsi e integrarsi in primis con le discipline della scienza dell’amministrazione, poi con lo studio comparato degli ordinamenti di altri Paesi, questi ed altri fattori segnarono un punto decisivo nello sviluppo della linea editoriale della Rivista, una traccia che tuttora continua ad ispirarne la linea scientifica, i suoi campi prediletti di investigazione. Anche Maripina Terrasi oggi non c’è più. A Lei che, ne siamo certi, oggi approva e sostiene il nuovo progetto editoriale che tocca la “sua” Rivista, va la nostra più profonda gratitudine, che non è solo scientifica, ma si estende all’averci insegnato come si fa una Rivista: quale la cura del tratto umano, quale la garanzia della libertà di espressione del pensiero, quale l’interesse paritario nei confronti dei grandi e dei più giovani studiosi. Di questo fruttuoso e instancabile contributo noi tutti della Direzione, del Comitato scientifico, della Redazione, le siamo e le saremo sempre fortemente riconoscenti. La storia di Nuove Autonomie, da lì in poi, su quei fondamenti ideali e su quelle prassi comportamentali, è storia dei nostri giorni. La Rivista è cresciuta, e molto, negli ultimi anni. Dal riconoscimento ANVUR quale Rivista di classe A, passaggio prestigioso e importante al quale ci siamo dedicati tanti di noi, all’ampliamento dei suoi organi scientifici, direttivi ed editoriali.
Oggi Nuove Autonomie vede l’apporto collaborativo di numerosi colleghi e studiosi di fama nazionale e internazionale, provenienti da sedi universitarie italiane e straniere. La veste grafica della Rivista è oggetto di costante cura ma soprattutto, mi sia permesso, essa è munita di un’eccellente Redazione alla quale con inusitata passione, considerati i tempi in corso, dedicano a turno la loro preziosa opera cinque valenti studiosi, in veste di coordinatori, rispondenti ai nomi di Marco Calabrò, Elisa Cavasino, Cristiano Celone, Nicola Gullo e Anna Simonati: principalmente a loro va attribuito il merito del passaggio dalla tradizionale veste editoriale stampata a quella digitale, con accesso aperto e gratuito per tutti. Permane integra la ratio ispiratrice dell’iniziativa editoriale e immutati sono gli obiettivi tracciati dai suoi fondatori. C’è in più solo la consapevolezza che le nuove modalità di pubblicazione potranno consentire di arrivare ad una platea pressoché illimitata di lettori, di raggiungere le più diverse sedi accademiche e istituzionali in tutto il mondo. E questo, naturalmente, infonde in noi tutti un sano orgoglio.
La Rivista si arricchisce di due nuove rubriche.
“La dottrina dialoga con la giurisprudenza” e “L’angolo delle libertà”.
La prima, che affonda le radici nella antica e quanto mai rilevante esperienza delle note a sentenza, si connota tuttavia per essere destinata ad ospitare i contributi di studiosi che, partendo da una o più decisioni giudiziali particolarmente interessanti e significative, approfondiscono le questioni teoriche che le sorreggono. Questo spazio, destinato ad ospitare saggi di meta-giurisprudenza, è pensato come un’importante occasione di dialogo costruttivo e di confronto tra scienza e giurisprudenza onde favorire effetti ermeneutici ed applicativi di tipo evolutivo. La seconda è una rubrica, certo, ma intende essere anche, senza enfasi, un “luogo dell’anima”, un ambito editoriale ove donne e uomini di scienza, giuristi, artisti, personalità della cultura e delle professioni, possano esprimere idee e punti di vista su tematiche di ampio interesse generale e impatto sociale inerenti alle libertà non solo individuali, al di fuori di qualsiasi schema precostituito e di forme di controllo. Il contenuto degli scritti non implica, da parte della Rivista e dei suoi organi, la necessaria condivisione di quanto ivi verrà espresso. Siamo ora pronti al varo di quella barca che, nella sua rinnovata edizione, permane salda e coerente nei propri elementi fondanti. Affidiamo alla benevolenza dei lettori il giudizio, fiduciosi di compiere in ogni caso un’operazione editoriale a difesa della libertà di espressione del pensiero giuridico, e non solo: e una crescita di libertà, è sempre un bene per tutti.