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1. Nel carcere dove è rinchiuso, aspettando che venga eseguita la sua condanna a morte, Socrate riceve la visita di Critone, un suo amico e coetaneo.
Socrate viene destato dal suo sonno sereno. Sarebbe fuor di luogo, egli dice a Critone che rimane sorpreso dalla sua tranquillità, se alla mia età mi rammaricassi di dover morire. L’amico gli propone di fuggire dalla prigione. Ha abbastanza soldi per corrompere le guardie; e sfodera diversi argomenti per convincerlo ad evadere. Che figura faremmo io, Critone e i miei amici se, avendo la possibilità di impedirlo, ti lasciassimo morire. La gente ci piglierebbe per spilorci accusandoci di attribuire più valore al
denaro che all’amicizia. E poi, rassegnandoti a morire, tu, Socrate, la daresti vinta ai nemici che ti vogliono morto. E i tuoi figli? Se li hai generati, hai l’obbligo di tirarli su ed educarli: un obbligo al quale non puoi sottrarti, andandotene all’altro mondo. Critone sa quanto è nobile il suo amico. Non fa appello alla ragione più ovvia, all’istinto di autoconservazione; e adduce motivazioni altruistiche – la reputazione degli amici, i bisogni dei figli – sapendo che un appello alla volontà di vivere non troverebbe ascolto in uno come Socrate. Ragioniamo, dice Socrate. Ho sempre fatto in modo da seguire quel ragionamento che, dopo ponderata riflessione, mi pare il migliore. E allora diciamo che dell’opinione della gente – del fatto che la gente possa pensare male degli amici di Socrate, ritenendo che essi tengono più ai soldi che all’amico – io non mi curo. Di alcune opinioni bisogna tener conto, ma di altre no. La gente è capace di far bene e di far male, si muove come capita. Se io accogliessi il tuo invito, Critone, mi comporterei come se la cosa più importante fosse vivere. Mentre quello che importa non è tanto vivere quanto viver bene. E viver bene equivale a vivere con onestà e giustizia. Domandiamoci, allora, dice Socrate, se evadere per me sia giusto o non lo sia. Qualcuno potrebbe dire che è giusto ricambiare l’ingiustizia, reagire ai maltrattamenti facendo del male a propria volta. Ma non è questa la mia convinzione. Non dobbiamo ricambiare le ingiustizie, né far del male a nessuno, qualsiasi cosa gli altri facciano a noi (49 c-d). Socrate anticipa, in questo modo, l’evangelico “porgi l’altra guancia” (Matteo, 5, 38-42; Luca, 6, 27-31). E Platone svilupperà questo tema quando nella Repubblica sosterrà che commettere ingiustizia è peggio che subirla (474 b).