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Sommario: 1. Breve premessa. – 2. La tutela dei beni culturali come materia di (possibile) competenza – anche – regionale: fine di un tabù? – 3. Segue. Tutela del patrimonio culturale e gestione degli usi civici: per una “rifondazione” su basi localistiche del catalogo dei beni rilevanti? – 4. Il governo del territorio e le possibili ripercussioni della riforma sulla negoziabilità del potere pubblico. – 5. Il possibile impatto della riforma sul ruolo della Consulta alla ricerca dei principi: governo del territorio e parità di genere come ambiti “totemici” di un orientamento “a più velocità”. – 6. Qualche considerazione di sintesi.

1. Breve premessa

La riforma sul cosiddetto “regionalismo differenziato” presta il fianco a una serie articolata di considerazioni di ampio respiro e di portata variamente sistematica. Pare interessante, tuttavia, anche riflettere sinteticamente su qualche profilo per così dire “secondario”, che potrebbe sortire conseguenze applicative non prive di rilevanza. Precisamente, può essere utile domandarsi se il potenziale nuovo assetto di competenze legislative sarà suscettibile di incidere sui confini precedentemente tracciati dalla Corte costituzionale, la quale in varie occasioni ha assunto posizioni compromissorie nella reciproca delimitazione dei compiti dello Stato e delle Regioni. Prendendo spunto da alcune sentenze, è possibile trarre qualche suggestione per la corretta applicazione della riforma, ove è previsto che – oltre a vari ambiti di competenza legislativa concorrente – anche alcune materie che rientrano (ex art. 117, c. 2, Cost.) nell’ambito della legislazione esclusiva dello Stato (segnatamente, organizzazione della giustizia di pace; norme generali sull’istruzione; tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali)1 siano suscettibili di attribuzione alle Regioni in attuazione dell’art. 116, c. 3.