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Sommario: 1. I modelli diversi organizzativi. – 2. Un confronto tra Stato regionale e Estado autonomico. – 3. Il regionalismo spagnolo come fenomeno aperto, volontario e meramente eventuale. – 4. L’influenza del modello spagnolo sul regionalismo italiano. – 5. Il paradosso di Achille e la tartaruga come scenario finale (da evitare).

1. I modelli diversi organizzativi

Nell’opinione di quello che viene ritenuto uno dei padri dello Stato regionale italiano, con l’approvazione del Titolo V si dà ingresso nella Costituzione del 1948 ad un «tipo intermedio di Stato fra l’unitario e il federale caratterizzato dall’autonomia regionale»1. Un modello per un verso influenzato dalle esperienze federalistiche mitteleuropee, per altro verso caratterizzato dalla forma unitaria, in cui un nuovo livello di governo intermedio (le Regioni, per l’appunto) è dotato di funzioni legislative e amministrative. Partendo da questa affermazione, senz’altro corretta per l’epoca in cui venne formulata, è importante fare alcune precisazioni di carattere metodologico. La spinta verso il decentramento dei poteri, diffusa nella maggior parte dei sistemi europei, ha prodotto un progressivo avvicinamento dei “tipi di Stato”: ciò implica che, oggi, i termini Stato federale e Stato regionale non possono essere considerati tecnicamente precisi, né dotati di alcun valore descrittivo dal momento che non consentono una classificazione rigorosa dei diversi modelli. Ciò a cui stiamo assistendo, in questa fase storica, è la ricerca di nuovi equilibri tra unità e autonomia, attraverso strumenti più adatti a ciascuna identità territoriale.